La qualità di quest’opera, scolpita finemente in una pietra durissima, è commisurata all’altissimo rango del proprietario: Nitocris, figlia di Psammetico I, era infatti la massima autorità religiosa di Tebe, e Ibi ne amministrava il patrimonio.
Il coperchio raffigura Ibi come Osiride, con le mani che emergono dal sudario a stringere il pilastro djed, che gli permette di rialzarsi dopo la risurrezione.
Le divinità rappresentate fra le bende di mummia incise sul corpo aiutano Ibi nel suo viaggio nell’Aldilà. Sui piedi, la dea del cielo Nut spiega le ali, impugnando tra le mani il simbolo della vita ankh, perché Ibi rinasca ogni mattina come il sole all’orizzonte.
Tre fori praticati sotto la barba e un altro nello scettro dovevano facilitare le operazioni di spostamento dell’oggetto, che pesa oltre mezza tonnellata.