Il vaso, in eccellente stato di conservazione, è realizzato in argilla marnosa di probabile tipo K5, caratterizzata da inclusioni visibili di paglia. Si tratta di un contenitore ceramico di forma ovoide, con corpo rigonfio, spalla piena e collo cilindrico sormontato da un orlo a sezione rettangolare. Alla base del collo è presente una modanatura ad anello modellato, che funge da elemento decorativo e strutturale. Il vaso poggia su un piede cilindrico leggermente concavo. Due piccole anse orizzontali sono applicate sulle spalle, in posizione simmetrica.
La superficie esterna del vaso è ricoperta da un ingobbio biancastro che conferisce un aspetto chiaro e opaco all’insieme. L’interno, invece, presenta una patina scura e lucida, probabilmente dovuta all’azione di sostanze organiche contenute nel recipiente. Tracce di residui neri sono ben visibili sull’esterno, a partire dal bordo fino al terzo superiore del corpo: si tratta con ogni probabilità di residui oleosi o resinosi, indicativi dell’impiego rituale del contenitore nell’ambito di pratiche di imbalsamazione.
Sulla parte superiore del corpo è tracciata, in scrittura ieratica, un’iscrizione verticale che indica il contenuto del vaso e ne specifica il destinatario. Il nome proprio è scritto in demotico: “L’olio per unire la testa e per unire il volto di Nebetweret.”
Sulla base della forma, della tipologia ceramica e delle caratteristiche paleografiche dell’iscrizione (che presenta affinità con i segni ieratici e demotici del papiro Rylands IX, datato all’anno 9 di Dario I, 513 a.C.), il vaso è databile al V secolo a.C., durante la prima dominazione persiana in Egitto (XXVII dinastia, 525–402 a.C.). L’oggetto appartiene verosimilmente al gruppo di recipienti impiegati nelle “cache di imbalsamazione” note da contesti funerari di epoca tarda, in particolare a Saqqara.